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Santi dell'8 Aprile

Il mio Santo > I Santi di Aprile

*Sant'Agabo - Profeta (8 Aprile)

I secolo d.C.
Si tratta di uno dei personaggi citati dagli Atti degli Apostoli. Vissuto a Gerusalemme nel I secolo. Negli Atti compare la prima volta al capitolo 11, collocato in una più ampia categoria di "profeti" giudeo-cristiani, come erano note alcune figure carismatiche.
Questo il racconto: «Alzatosi in piedi, egli annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio» (11,28).
L'annuncio di Agabo aveva una finalità di solidarietà: la più ricca comunità cristiana di Antiochia, infatti, si autotassò per sostenere i fratelli della Giudea (11,29).
Agabo riappare poi a Cesarea: «Presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà consegnato quindi nelle mani dei pagani». (At 21,11-13). (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Ágabo, profeta, che, come attestano gli Atti degli Apostoli, profetizzò, mosso dallo Spirito, una grande carestia su tutta la terra e le torture inflitte a Paolo da parte dei pagani.
In data odierna il nuovo Martyrologium Romanum pone la “commemorazione di Sant'Agabo profeta”.
Questi non è che uno della miriade di personaggi citati da San Luca negli Atti degli Apostoli. Vissuto a Gerusalemme nel I secolo dell'era cristiana, il suo strano nome forse non è che una deformazione greca di un termine semitico.
Nel libro suddetto compare la prima volta nel capitolo 11, collocato in una più ampia categoria di “profeti” giudeo-cristiani, come erano note alcune figure carismatiche, tra i più fervidi testimoni di Cristo, dotati di particolari carismi che permetteva loro di scrutare i cuori, nonchè di prevedere eventi futuri. Lo steso apostolo Paolo d'altronde, elencando i “carismi”, cioè gli speciali doni dello Spirito Santo, collocò la profezia addirittura al secondo posto dopo la missione apostolica (1 Corinzi 12,28).
Agabo è dunque uno dei “profeti che scesero da Gerusalemme ad Antiochia” e come racconta Luca: “Alzatosi in piedi, egli annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra.
Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio” (11,28). In effetti attorno al 49-50 l'impero romano soffrì un simile periodo, prima in Grecia e poi a Roma e nel resto del bacino mediterraneo. L'annunzio compiuto da Agabo aveva in realtà una finalità intrinseca di solidarietà: la più ricca comunità cristiana di Antiochia di Siria infatti si autotassò per sostenere i fratelli più poveri della Giudea (11,29). Agabo riapparve poi più avanti, quando San Paolo si diresse per l'ultima volta a Gerusalemme. Giunto al porto di Cesarea, fu ospitato da un “evangelista” cristiano, un certo Filippo appartenente alla cerchia dei Sette Diaconi, che aveva quattro figlie anch'esse dotate del carisma profetico. Dalla Giudea sopraggiunse anche Agabo che nuovamente riuscì ad intuire il futuro, in questo caso dell'apostolo delle genti.
“Agabo, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà consegnato quindi nelle mani dei pagani. All'udire questo, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. Ma Paolo replicò: Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”(At 21,11-13).
Qualsiasi altra notizia leggendaria su questo misterioso personaggio neotestamentario è da ritenersi pura fantasia, in quanto le uniche certezze sul suo conto sono date dai pochi passi citati su di lui contenuti negli Atti degli Apostoli.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agabo, pregate per noi.

*Beato Agostino Jeong Yak-jong - Padre di famiglia, Catechista e Martire (8 Aprile)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Coreani" (Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni) - Senza data - (Celebrazioni singole)

Gwangju, Corea del Sud, 1760 – Seul, 8 aprile 1801

Agostino Jeong Yak-jong venne a conoscenza del cattolicesimo due anni dopo la sua introduzione in Corea. Le prime persone che evangelizzò furono la sua seconda moglie Cecilia Yu So-sa, e i figli Carlo Jeong Cheol-sang, Paolo Jeong Ha-sang [Chong Hasang] ed Elisabetta Jeong Jeong-hye [Chong Chong-hye]. Appassionato della dottrina cristiana, la compendiò in un Catechismo in due volumi nella sua lingua natia. All’esplodere della persecuzione Shinyu (1801), finì subito sulla lista dei ricercati. Dopo aver patito numerose torture, venne decapitato presso la Piccola Porta Occidentale a Seul l’8 aprile 1801, a quarantuno anni. La moglie e i figli, non molto tempo dopo, subirono la sua stessa sorte.
Agostino e il figlio Carlo sono stati inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung e beatificati da Papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud. Cecilia e gli altri due figli, invece, sono stati canonizzati il 6 maggio 1984 da san Giovanni Paolo II.
Agostino Jeong Yak-jong nacque nel 1760 a Majae, presso Gwangju, nel distretto del Gyeonggi (attualmente Neungnae-ri, Joan-myeon, Namyangju-si, Gyeonggi-do), in una famiglia di studiosi molto noti.
Nel 1786, due anni dopo l’introduzione del cattolicesimo in Corea, Agostino ne venne a conoscenza. Apprese il catechismo da suo fratello maggiore e, una volta che l’ebbe assimilato profondamente, ricevette il Battesimo. Da allora, si diede a insegnarlo anzitutto ai membri della sua famiglia: alla sua seconda moglie, Cecilia Yu So-sa, e ai figli, Carlo Jeong Cheol-sang (nato dalle sue prime nozze), Paolo Jeong Ha-sang [Chong Hasang] ed Elisabetta Jeong Jeong-hye [Chong Chong-hye].
Per praticare più tranquillamente la sua religione, Agostino si trasferì a Bunwon (attualmente Bunwon-ri, Namjong-myeon, Gwangju-si, Gyeonggi-do). A quell’epoca, i suoi fratelli iniziarono a distaccarsi gradualmente dalla Chiesa, ma lui s’impegnava ancora di più: aveva frequenti contatti coi fedeli dei villaggi vicini e li invitava a casa sua per apprendere il catechismo; inoltre, prendeva attivamente parte alle attività ecclesiali.
Quando, sul finire del 1794, arrivò clandestinamente in Corea padre Giacomo Zhou Wen-mo, missionario cinese, Agostino andò spesso a Seul per incontrarlo e ricevere i Sacramenti, dedicandosi ad aiutare lui e gli altri fedeli. Grazie alla sua padronanza della dottrina, scrisse «Jugyo-yoji», un Catechismo in lingua coreana, in due volumi, facilmente comprensibile a tutti. Con l’approvazione di padre Giacomo, quel testo ricevette larghissima diffusione tra i fedeli. Nel frattempo, il missionario aveva fondato il Myeongdohoe, una comunità di credenti, e nominò Agostino primo presidente.
Insieme a Giovanni Choe Chang-hyeon, aiutò molti fedeli nello studio del catechismo, tra i quali Paolo Yi Guk-seung.
Nel 1800, all’inizio di una persecuzione nei dintorni della regione vicina, lui e i suoi familiari si trasferirono a Seul. Tuttavia, nell’anno successivo, con la persecuzione Shinyu, l’intera Chiesa cattolica di Corea fu a rischio. Il nome di Agostino finì subito sulla lista dei ricercati e i suoi libri consegnati all’ufficio del governo. La corte reale ordinò di arrestarlo immediatamente, cosa che avvenne l’11 febbraio 1801 del calendario lunare.
L’indomani, venne pesantemente interrogato e torturato, ma, determinato com’era a morire in nome di Dio, non cedette a nessuna tentazione. Non disse nulla di dannoso per la Chiesa o per i fedeli, bensì cercò di spiegare che la dottrina cattolica era esatta e veritiera: «Non c’è nulla di sbagliato nel venerare il Signore, ma è cosa buona e giusta. [...] Dio è il "nostro Grande Re e Grande Padre del cielo e della terra". Se non comprendiamo il motivo per cui dobbiamo venerare Dio, siamo peccatori sotto il cielo e, benché siamo vivi, siamo morti».
I persecutori adoperarono tutti i mezzi possibili per farlo cedere, ma risultarono confusi dalla dottrina che predicava. Infine, la corte approvò la condanna a morte promulgata dal Ministero della Giustizia. Così, quindici giorni dopo il suo arresto, Agostino venne condotto presso la Piccola Porta Occidentale a Seul, per essere giustiziato.
Appena il carro che doveva condurlo al terreno di esecuzione fu pronto, vi salì sopra e gridò a voce alta, rivolto alla gente che si era radunata: «Fratelli e sorelle, non derideteci. Noi crediamo che morire per Dio sia naturale per tutte le persone che nascono al mondo. Nel giorno del giudizio finale, le nostre lacrime si muteranno in pura beatitudine e le vostre liete risate si trasformeranno in acerbi dolori».
Agostino, che aveva quarantuno anni, rese lo spirito dicendo: «Meglio morire guardando in alto verso il cielo che vivere guardando in basso sulla terra». Era l’8 aprile 1801 (26 febbraio secondo il calendario lunare).
I suoi familiari, dopo essere stati privati dei loro beni, incontrarono la sua medesima sorte: il figlio Carlo Jeong Cheol-sang, il 14 maggio 1801; la moglie Cecilia Yu So-sa, il 23 novembre 1839; gli altri due figli, Paolo Jeong Ha-sang ed Elisabetta Jeong Jeong-hye, rispettivamente il 22 settembre e il 29 dicembre 1839. Questi ultimi tre sono stati canonizzati il 6 maggio 1984 da San Giovanni Paolo II, inseriti nel primo grande gruppo dei martiri coreani.
Agostino Jeong Yak-jong e Carlo Jeong Cheol-sang, invece, sono stati inseriti nel gruppo di Martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche i già menzionati padre Giacomo Zhou Wen-mo, Giovanni Choe Chang-hyeon e Paolo Yi Guk-seung) e beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Agostino Jeong Yak-jong, pregate per noi.

*Sant'Amanzio di Como - Vescovo (8 Aprile)

sec. V
Emblema:
Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Como, Sant’Amanzio, vescovo, che sedette per terzo sulla cattedra di questa Chiesa e fondò la basilica degli Apostoli.
Nato a Canterbury in Inghilterra, parente per parte di madre di Teodosio III o di qualche altro imperatore dei sec. IV-V,
fu terzo vescovo di Como, successore di San Provino (morto nel 420).
Avendo riportato da un viaggio a Roma alcune reliquie degli apostoli Pietro e Paolo, costruì in loro onore una chiesa, rifatta in stile romanico nel sec. IX e dedicata a Sant' Abbondio, suo valido aiutante e successore intorno al 450.
Morì l'8 aprile, giorno della sua festa, di un anno non precisabile, probabilmente del 448.
Le sue reliquie, conservate a Como nella Chiesa da lui costruita, il 2 luglio 1590 furono trasferite nella chiesa dei Gesuiti, della quale è patrono insieme con San Felice.

(Autore: Pietro Gini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Amanzio di Como, pregate per noi.

*Beato Augusto Czartoryski - Sacerdote (8 Aprile)

Parigi, 2 agosto 1858 - Alassio, Savona, 9 aprile 1893
Il principe polacco Augusto Czartoryski nacque a Parigi da genitori polacchi il 2 agosto 1858. La famiglia si era stabilita in Francia quando, dopo lo rivoluzione del 1830 e lo confisca dei beni, era stata posta al bando dalla Russia. Nel 1886 entrò nella Congregazione Salesiana, dove fu ordinato sacerdote.
Si ammalò presto e trovò nella nuova condizione il motivo e il metodo per salire le vette della perfezione.
Morì in fama di santità a soli 34 anni 1’8 aprile 1893, sabato dell’Ottava di Pasqua.
É stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, suo connazionale, in San Pietro il 25 aprile 2004.

Martirologio Romano: Ad Alassio presso Albenga in Liguria, Beato Augusto Czartoryski, sacerdote della Società Salesiana, al quale la malferma salute non impedì di raggiungere grandi doni di santità e di seguire con fermezza la divina vocazione.
Il principe polacco Augusto Czartoryski nacque a Parigi il 2 agosto 1858. Ormai da tre decenni la sua nobile famiglia, fortemente legata agli interessi dinastici della Polonia, era stata esiliata in Francia.
Qui, dal Palazzo Lambert, sulle rive della Senna, si adoperava tra i connazionali e presso le cancellerie di tutta Europa al fine di restaurare l’unità della loro patria, che dal 1795 era stata smembrata tra le grandi potenze vicine.
Il principe Adamo Czartoryski, cedette le redini del casato e dell’attività patriottica al principe Ladislao, che si unì in matrimonio alla principessa Maria Amparo, figlia della regina di Spagna Maria Cristina e del duca Rianzarez.
Da loro nacque dunque il Beato Augusto.
Primogenito della famiglia, divenne punto di riferimento per tutti coloro che sognavano la rinascita dell’unità territoriale polacca.
A sei anni gli morì la mamma, a causa della tubercolosi, che trasmesse al figlio.
Manifestatisi i primi sintomi del male, Augusto cominciò un lungo girovagare in cerca della salute, che purtroppo non riuscirà mai a riacquistare.
Le sue tappe principali furono l’Italia, la Svizzera, l’Egitto e la Spagna. Ma non era la propria salute l’obiettivo primario della sua ricerca: nel suo animo giovanile covava un’altra ricerca assai più speciale e preziosa: la sua vocazione.
Nell’assai travagliata storia della sua vocazione fu sempre costante l’impegno nel discernimento, alla luce della preghiera e nel confronto con la sua guida spirituale, consigliarsi con essa prima di prendere qualsiasi decisione.
La sua vita costituì una vera e propria “lotta per la vocazione”. Sempre fisso e fermo nell’offerta fatta a Dio, era solito ripetere ripetere: “Qui è dove mi ha chiamato il Signore, e qui è dove il Signore mi vuole”.
Augusto non tardò molto a capire di non essere fatto per la vita di corte.
All’età di soli vent’anni scrisse al padre dicendogli, alludendo tra l’altro alle feste mondane cui era costretto a partecipare: “Le confesso che sono stanco di tutto ciò.
Sono divertimenti inutili che mi angustiano.
Mi è molesto esser obbligato a far conoscenze in tanti banchetti”.
Un grande influsso positivo fu esercitato sul giovane principe dal suo precettore San Giuseppe
Kalinowski, che aveva alle spalle dieci anni di lavori forzati in Siberia. Ad orientare Augusto nella ricerca vocazionale furono soprattutto le figure di San Luigi Gonzaga e del suo compatriota San Stanislao Kostka.
Di quest’ultimo era solito citare il celebre motto: “Ad maiora natus sum”.
Scrisse poi inoltre il Kalinowski: “La Vita di San Luigi […] ebbe efficacia risolutiva sul progresso spirituale di Augusto e gli aprì la via a più facile unione con Dio”. In seguito Giuseppe Kalinowski entrò tra i Carmelitani e don Stanislao Kubowicz fu scelto quale nuovo precettore di Augusto.
Ciò costituì per il giovane un ulteriore splendido nella sua vita spirituale.
Ma la svolta decisiva nella sua vita si ebbe con l’incontro con San Giovanni Bosco.
Ciò avvenne a Parigi, proprio nel palazzo Lambert, dove il Santo fondatore dei Salesiani celebrò la Messa nella cappella di famiglia.
Per il servizio all’altare era stati designati i principi Ladislao e Augusto.
Quest’ultimo aveva l’età di 25 anni.
Don Bosco disse ad Augusto: “É da molto tempo che desideravo fare la sua conoscenza!”.
Da quel giorno il giovane principe non poté che affidare la sua anima ed il suo avvenire al santo educatore.
La sua vocazione alla vita religiosa si era manifestata sempre con più evidente chiarezza ed in modo altrettanto esplicito non mostrava la benché minima propensione a metter su famiglia, nonostante la sua importante posizione di erede primogenito.
Pur non avendo mai opposto un netto rifiuto alle proposte di matrimonio offertegli dal padre, per rispetto all’etichetta nobiliare, Augusto non aveva mai alcun interesse nei confronti delle ragazze presentategli.
Dopo l’incontro con San Giovanni Bosco, il principe polacco sentì non solo rafforzarsi la vocazione religiosa, ma si convinse inoltre della chiamata a diventare sacerdote salesiano. Scisse don Ceria: “Appena il padre glielo permetteva, Augusto veniva a Torino per incontrarsi con don Bosco e riceverne i consigli.
Fece anzi vari corsi di Esercizi Spirituali sotto la direzione del Santo, prendendo abitazione all’Oratorio, con suo gran disagio per la mancanza di comodità”.
Don Bosco era così divenuto il punto di riferimento privilegiato per un definitivo discernimento vocazionale da parte di Augusto.
Don Bosco manifestò sempre tuttavia un atteggiamento di grande cautela circa l’eventualità di accettare il principe nella congregazione.
Ma il pontefice allora regnante, Leone XIII, sciolse definitivamente ogni dubbio congedandosi così dall’incontro avuto con Augusto: “Dite a don Bosco essere volontà del Papa che vi riceva tra i Salesiani”.
Il Santo fondatore non poté che gioire di tale responso, traendo le sue conclusioni: “Ebbene, mio caro”, rispose immediatamente don Bosco, “io l'accetto.
Da questo istante, ella fa parte della nostra Società e desidero che vi appartenga fino alla morte”.
Dopo aver fatto tutte le dovute rinunce in favore dei suoi fratelli, alla fine del giugno 1887 il giovane fu mandato presso l’Istituto Salesiano di San Benigno Canavese per un breve periodo di aspirantato, prima di cominciare il noviziato, che iniziò in quello stesso anno a Torino sotto la guida di Don Giulio Barberis.
Augusto, allora ventinovenne, si trovò così a dover capovolgere tante sue abitudini e a dover lottare anche contro la famiglia che non si rassegnava a questa insolita scelta.
Il 24 novembre 1887 ricevette l’abito talare da Don Bosco nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
“Coraggio, mio principe.
Oggi abbiamo riportato una magnifica vittoria. Ma posso anche dirle, con grande gioia, che verrà un giorno in cui lei sarà sacerdote e per volontà di Dio farà molto bene alla sua patria”.
Don Bosco morì appena due mesi dopo e proprio sulla sua tomba a Valsalice il principe Czartoryski emise i voti religiosi entrando così a pieno titolo tra i salesiani.
A causa della sua malattia fu inviato a proseguire gli studi teologici in Liguria.
Ebbe modo di scrivere al cardinale Parocchi: “In piena libertà ho voluto emettere i voti, e lo feci con grande gioia del mio cuore.
Da quel giorno godo, vivendo in Congregazione, una grande pace di spirito, e ringrazio il Signore di avermi fatto conoscere la Società Salesiana e di avermi chiamato a vivere in essa”.
Sempre più in preda alla sofferenza, il 2 aprile 1892 fu ordinato sacerdote a San Remo dal vescovo di Ventimiglia, il Beato Tommaso Reggio.
Dopo la mancata partecipazione all’ordinazione presbiterale, l’intera famiglia Czartoryski si riunì invece a Mentone il 3 maggio seguente, come una sorta di tacita riconciliazione.
La nuova vita sacerdotale durò per Don Augusto solamente un anno, che trascorse ad Alassio, nella vicina diocesi di Alberga.
Giovanni Cagliero, primo vescovo e cardinale salesiano, riassunse così questo ultimo periodo della sua vita: “Egli non era più di questo mondo!
La sua unione con Dio, la conformità perfetta al divino volere nell’aggravata infermità, il desiderio di uniformarsi a Gesù Cristo nei patimenti e nelle afflizioni, lo rendevano eroico nella pazienza, calmo nello spirito, e invitto, piùche nel dolore, nell’amore di Dio”.
Augusto Czartoryski morì ad Alassio la sera dell’8 aprile 1893, sabato dell’Ottava di Pasqua, sul seggiolone che fu di Don Bosco.
Appena pochi giorni prima, il lunedì dell’Angelo, aveva esclamato con un suo confratello: “Che bella Pasqua!”.
Appena trentacinquenne e con cinque anni di vita salesiana alle spalle, aveva portato a pieno compimento il proposito che aveva scritto sul retro dell’immaginetta della sua Prima Messa: “Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove.
Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi” (Salmo 83).
La sua salma fu trasportata in Polonia, per essere tumulata nella tomba di famiglia dei Czartoryski, presso la cripta parrocchiale di Sieniawa.
Tra l’altro questa era anche la chiesa dove da piccolo Augusto aveva ricevuto la prima Comunione.
In seguito i suoi resti furono traslati nella chiesa dei salesiani di Przemysl, dove ancora oggi è oggetto di venerazione da parte dei fedeli.
Il processo di canonizzazione di Augusto Czartoryski, grande principe polacco e sacerdote salesiano, fu aperto il 14 febbraio 1921.
Riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù cristiane, fu dichiarato “venerabile” il 1° dicembre 1978.
Riconosciuto un miracolo avvenuto per sua intercessione, il papa suo connazionale Giovanni Paolo II Magno lo beatificò in San Pietro il 25 aprile 2004.

Dall’Omelia di Giovanni Paolo II per la Beatificazione – 25 aprile 2004
“Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore…
Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove” (Sal 84/83/, 2.11). Queste parole del Salmo ha scritto come motto di vita sull’ immaginetta della prima Messa il Beato Augusto Czartoryski.
In esse è contenuto il rapimento di un uomo che, seguendo la voce della chiamata, scopre la bellezza del ministero sacerdotale.
Risuona in esse l’eco delle diverse scelte che deve fare chiunque scorge la volontà di Dio e desidera compierla.
Augusto Czartoryski, giovane principe, ha elaborato un efficace metodo di discernimento dei disegni divini.
Presentava a Dio nella preghiera tutte le domande e le perplessità di fondo e poi nello spirito di obbedienza seguiva i consigli delle sue guide spirituali.
Così ha compreso la sua vocazione di intraprendere la vita povera per servire i più piccoli.
Lo stesso metodo gli ha permesso, nel corso di tutta la vita, di compiere scelte tali, che oggi possiamo dire che egli ha realizzato i disegni della Provvidenza Divina in modo eroico.
Voglio lasciare l’esempio della sua santità soprattutto ai giovani, che oggi cercano il modo di decifrare la volontà di Dio nei riguardi della loro vita e desiderano ogni giorno procedere fedelmente secondo la parola divina.
Miei cari giovani amici, imparate dal beato Augusto a chiedere ardentemente nella preghiera la luce dello Spirito Santo e guide sagge, affinché possiate conoscere il piano divino nella vostra vita e siate capaci di camminare sempre sulla via della santità.
Preghiere
1)
Signore Gesù, che da ricco ti sei fatto povero,
aiutaci ad imitare l’esempio del beato Augusto:
fa’ che sappiamo discernere la tua volontà,
docili alle ispirazioni interiori e alle guide spirituali che tu stesso ci doni;
rendici umile e poveri, capaci di lasciare tutto quello che impedisce di seguirti;
confermaci nel proposito di amare e di servire te e i giovani con il tuo stesso amore.
Amen.

2)
O Gesù, nostro Dio e nostro Re,
che visibilmente prediligete coloro
che tutto abbandonano per Vostro amore,
degnateVi glorificare il fedelissimo Vostro Servo Don Augusto,
che rinunciò agli agi d’una vita principesca
ed esemplarmente seguì i consigli evangelici;
e a sua intercessione fate che riusciamo noi pure
ad adempiere con fede i doveri del nostro stato,
per meritare le grazie che ci sono necessarie
in questa valle di lacrime...,
ed essere ammessi un giorno al Paradiso.
Amen.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Augusto Czartoryski, pregate per noi.

*Beato Clemente da Osimo - Congregazione Eremitica (8 Aprile)
+ Orvieto, 8 aprile 1291
Nacque a Osimo, (An) all'inizio del sec. XIII. Eremita della congregazione eremitica di Brettino, (PS) diverrà Agostiniano nel 1256.
Provinciale della Provincia anconetana (1269) e Priore Generale dell’Ordine agostiniano dal 1271 al 1290.
Animatore dell’Osservanza della vita religiosa, introdusse nell’Ordine la devozione alla Madonna e fece scelte culturali per l’Ordine fondando Studi Generalizi nelle principali città d’Europa.
Il suo culto fu approvato da Clemente XIII.
Martirologio Romano: A Orvieto in Umbria, Beato Clemente da Osimo, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che resse e promosse con efficacia l’Ordine e ne riformò con saggezza le leggi.
Del leader aveva tutte le doti: prudenza e ponderazione, paterna benevolenza, sollecitudine, lavoro instancabile. Così i biografi, soffermandosi su queste, hanno finito per “dimenticare” altri particolari
non irrilevanti della sua vita, come ad esempio data e luogo di nascita. Di certo sappiamo soltanto che il Beato Clemente da Osimo è nato agli inizi del XIII secolo, ma sul dove ancora si discute tra il paese di Sant' Elpidio (nei pressi di Ancona) invece che Osimo.
Neppure ci hanno tramandato la spiritualità dei primi anni e le sue esperienze, soltanto lasciando intendere che sia stato eremita, ma certa ed inequivocabile è la data del suo ingresso tra gli Agostiniani: il 1256.
Qui arriva comunque con un bagaglio non indifferente di cultura e spiritualità, se appena tredici anni dopo viene eletto Provinciale della Provincia anconetana. La “carriera” di Clemente all’interno del suo Ordine non si ferma però qui: nel 1271 viene eletto Priore Generale e tale resta per un triennio, al termine del quale ritorna alla vita ritirata che forse era un po’ la sua specifica vocazione; nel 1284 viene rieletto all’unanimità, confermato nel 1287 ed ancora nel 1290. Nel primo mandato la personalità di Clemente non riesce ad esprimersi in pieno, perché forse condizionata dalle personalità ecclesiastiche che lo circondano (e specialmente del “cardinale-protettore” Riccardo Annibaldi), ma nei periodi successivi riesce a lasciare un’impronta, al punto che gli storici sono concordi nell’affermare che Clemente è indiscutibilmente il più grande tra i priori generali degli inizi dell’Ordine. E non è un caso che a lui sia toccato riformulare e promulgare le Costituzioni dell’Ordine, un’opera monumentale alla quale egli si dedica instancabilmente insieme al confratello ed amico Agostino Novello. Dell’unità del suo Ordine è un deciso ed efficace promotore, perché, oltre a promulgare le prime Costituzioni, si preoccupa di dare alla formazione dei novizi un chiaro orientamento agostiniano, un’unica liturgia per tutto l’Ordine e, inoltre, indirizzando alunni e professori all’esperienza internazionale, con l’apertura di nuove case e nuovi studentati a Parigi, Roma, Bologna, Padova e Napoli.
Con lui la devozione mariana diventa una tradizione dell’Ordine e Clemente ne è il promulgatore più strenuo, devoto com’è lui stesso della Madonna. I biografi non dimenticano di registrare i fatti prodigiosi (come l’acqua cambiata in vino) che contraddistinguono il priorato di Clemente, quasi il timbro di Dio sulla sua opera. Muore l’8 aprile 1291, a pochi mesi dall’inizio del suo quarto mandato.
I fatti prodigiosi attorno alla sua salma si moltiplicano e l’Ordine conserva nel tempo la sua memoria, circondandolo di venerazione.
Per questo motivo Papa Clemente XIII ne conferma il culto “ab immemorabili” nel 1761. Viene festeggiato oggi, insieme al Beato Agostino Novello che con lui aveva collaborato a scrivere le Costituzioni e che ne fu successore come Priore Generale.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Clemente da Osimo, pregate per noi.

*San Dionigi - Vescovo di Alessandria - (8 Aprile)
m. 264

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, San Dionigi, Vescovo, che, uomo di grande cultura, insigne per avere più volte professato la fede e mirabile per la varietà dei patimenti e delle torture subite, carico di giorni morì confessore della fede al tempo degli imperatori Valeriano e Gallieno.
Nacque in Alessandria verso la fine del II secolo da genitori pagani. Stando alla sua stessa testimonianza, prima della conversione godeva di una condizione agiata. Giunto alla fede per la lettura di libri cristiani, fu discepolo di Origene, con il quale rimase sempre in buoni rapporti. Nel 231-32 assunse la direzione del Didascalèion, succedendo ad Eraclas, divenuto vescovo; in quel tempo era già sacerdote, benché, come sembra, sposato e con figli. Nel 247, alla morte di Eraclas, divenne vescovo di Alessandria. Il suo episcopato, che durò diciassette anni, fu funestato da tre persecuzioni: la prima, del 248, scoppiata ad Alessandria alla fine del regno di Filippo l'Arabo, che degenerò in guerra civile; la seconda, di Decio (249-51), che imperversò in tutto l'Impero, e fu tra le più accanite che la storia conosca; e la terza, che scoppiò nel 257, sotto Valeriano.
La persecuzione di Decio ce la descrive lo stesso Dionigi nelle sue lettere a Germano e a Fabio. Anche ad Alessandria, come nelle altre città dell'Impero, si ebbero parecchi apostati, ma numerosi furono anche i confessori: molti, dice Dionigi, presero la fuga ed «errarono per i deserti e le montagne, assaliti dalla fame e dalla sete, dal freddo e dalle malattie, dai briganti e dalle bestie feroci».
Appena pubblicato l'editto di persecuzione, il prefetto d'Alessandria, Sabino, fece cercare il vescovo dovunque, meno che nel suo palazzo, dov'era invece rimasto. La sera del quarto giorno, anche Dionigi si decise a fuggire, perché la situazione in città si faceva sempre più confusa.
Arrestato dalle guardie imperiali, venne quasi subito liberato da una folla di contadini in festa, tra i quali erano capitati per puro caso. Tornò ad Alessandria alla fine del 251, dopo la morte di Decio.
Durante la terza persecuzione, scoppiata nel 257. Sotto Valeriano, Dionigi venne esiliato a Kephro in Libia e poi a Kolluthion nella Mareotide.
Approfittò di questa sua permanenza in esilio per annunziare il Vangelo agli abitanti del luogo, che ancora l'ignoravano. Terminata anche questa persecuzione con la disfatta militare di Valeriano, rimasto prigioniero dei Persiani, poté rientrare nella sua città grazie ad un editto di Gallieno che nel 260 gli rendeva la libertà (la data del 262, proposta da qualcuno, sembra inesatta).
Non erano però finite le prove per il santo vescovo: ad Alessandria scoppiò una rivoluzione, ed egli si trovò tagliato fuori dalla comunità dei suoi fedeli, potendo comunicare con loro solo per lettera. Triste retaggio della guerra, poi, furono la carestia e la peste, che colmarono di dolore gli ultimi suoi giorni. Invitato a partecipare al sinodo di Antiochia del 264, dove sarebbero state giudicate le dottrine di Paolo di Samosata, gentilmente si scusò, adducendo a motivo «la sua vecchiezza e la debolezza del suo corpo».
Morì in quello stesso anno «dodicesimo dell'imperatore Gallieno, dopo avere presieduto per diciassette anni, come vescovo, alla Chiesa di Alessandria». La sua festa si celebra il 17 novembre.
Scritti e Dottrina
Durante il suo episcopato, Dionigi si trovò implicato in tutte le discussioni teologiche del suo tempo e, benché fosse soprattutto pastore, non poté esimersi dal dire una parola chiarificatrice su molti punti controversi.
Scrisse innanzitutto un gran numero di lettere: a noi ne sono pervenute due intere e vari frammenti di altre. Si riferiscono a tre problemi distinti: lettere de lapsis, lettere sulla questione de rebaptismate, lettere festali.
Anche ad Alessandria, come a Roma, Cartagine e Antiochia, la persecuzione di Decio sollevò la questione dei lapsi, i «caduti» che poi chiedevano di essere perdonati e riammessi nella Chiesa. Come il papa Cornelio a Roma e il vescovo Cipriano a Cartagine, anche Dionigi usò con loro molto tatto e molta comprensione. Scrisse parole di moderazione anche a Novaziano che, col pretesto di maggiore austerità, si era ribellato al papa Cornelio. In particolare, egli aveva ordinato che in ogni caso «venisse dato il perdono a coloro che erano in fin di vita, se lo chiedevano, e soprattutto se già prima ne avevano presentato domanda».
L'altro problema riguardava l'uso di ribattezzare coloro che entravano nella Chiesa cattolica e già erano stati battezzati da eretici. Quest'uso era stato introdotto in alcune Chiese dell'Africa e dell'Asia minore, ma era stato chiaramente riprovato dalla Chiesa di Roma. Dionigi ne parla in sei lettere diverse: una al papa Stefano, una al prete Filemone di Roma, una al prete Dionigi, pure di Roma, due personali al papa Sisto e una, come scrive Eusebio, «indirizzata da lui e dalla sua Chiesa a Sisto e alla Chiesa di Roma »
Anche su questo problema, Dionigi è molto discreto: egli si limita a non biasimare l'uso di ribattezzare, essendo molto antico, introdotto al tempo dei vescovi «che sono stati prima di noi, nelle Chiese più popolate e nelle assemblee dei fratelli, a Iconio e Sinnade».
Nelle lettere festali, molte delle quali sono andate perdute, annunziava come di solito la data della Pasqua e dava avvisi e consigli ai vescovi suffraganei e ai fedeli.
Compose anche alcuni trattati, di solito disposti anch'essi in forma di lettere: uno contro il millenarismo, un altro contro la filosofia di Epicuro, un terzo sulle tentazioni, un quarto sul sabato, e altri. Particolarmente importante, per la storia dei dogmi, è il suo intervento in merito al mistero trinitario. In una sua lettera del 260, indirizzata a Eufranore e Ammonio, trovandosi in polemica contro il sabellianismo, si era lasciato sfuggire alcune espressioni, relative al Figlio di Dio, che i suoi avversari considerarono eretiche, per cui venne accusato, presso il papa Dionigi, di confessare in Dio tre ipostasi, di separare il Figlio dal Padre considerandolo una creatura, di negare che egli è consustanziale al Padre, e altre eresie. Dionigi rispose prima con una lettera e poi con un trattato, intitolato Confutazione e Apologia, in quattro libri, che rendono pienamente ragione della sua ortodossia. Egli non separa le tre Persone: chi dice Padre dice anche Figlio e viceversa e chi nomina lo Spirito Santo, dice nel medesimo tempo anche da chi e per mezzo di chi procede.
Quanto alla voce consustanziale nota che non si trova «nelle Scritture»; però accetta la dottrina che con essa si vuole esprimere. Scrivendo egli quasi un secolo prima delle famose lotte trinitarie, non farà meraviglia se si incontrano in lui paragoni «meno convenienti» e se il suo linguaggio sembra alludere a una unità più «specifica» che «numerica» tra le divine.
Fu soprattutto pastore. Sempre premuroso dell'unità cattolica e della integrità della fede, combatté il sabellianismo e accettò senza difficoltà i richiami di Papa Dionigi sulla dottrina trinitaria; nello scisma di Novaziano si schierò con Cornelio, il legittimo vescovo di Roma; nella questione dei lapsi consigliò larga comprensione e generosa benevolenza; e se nella controversia battesimale apparve remissivo, fu perché la considerava più un affare disciplinare che una questione dogmatica. Coraggioso difensore dell'ortodossia, zelantissimo del bene spirituale del suo gregge, impavido di fronte al pericolo, abile e prudente nel governo, largo e generoso con tutti, egli rimane ancor oggi un modello per i suoi esempi, una guida sicura per la sua dottrina.

(Autore: Andrea Tessarolo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dionigi di Corinto, pregate per noi.

*San Dionigi di Corinto - Vescovo (8 Aprile)

Corinto, sec. II
Venne nominato vescovo della sua città.
Le poche notizie sicure che si hanno di lui risalgono a San Girolamo e soprattutto ad Eusebio di Cesarea.

Eusebio ci ha conservato frammenti interessanti di otto sue lettere, inviate alla Chiesa di Atene, di Lacedemone, di Amastri nel Ponto, di Cnosso in Creta.
Tali frammenti, nonostante siano privi di notizie su San Dionigi sono comunque documenti importanti e unici.
Da essi si ricavano informazioni preziose sulla religiosità di alcune città e regioni, durante il pontificato di San Sotere.
Dionigi viene ricordato come martire nel Martirologio Romano ma anche sulla sua morte, non ci sono informazioni certe.

Etimologia: Dionigi = consacrato a Dioniso (è il dio Bacco)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano:
Commemorazione di San Dionigi, vescovo di Corinto, che, dotato di una mirabile conoscenza della parola di Dio, istruì con la predicazione i fedeli della sua città e con lettere anche i vescovi di altre città e province.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dionigi di Corinto, pregate per noi.

*Beato Domenico (Iturrate Zubero) del SS. Sacramento - Sacerdote Trinitario (8 Aprile)

Dima (Vizcaya), Bilbao, 11 maggio 1901 – Belmonte (Cuenca), Spagna, 8 aprile 1927
Martirologio Romano: Nel convento di Belmonte presso Cuenca in Spagna, Beato Domenico del Santissimo Sacramento Iturrate, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità, che si adoperò con tutte le forze per la salvezza delle anime e magnificare la gloria della Trinità.
Tre mesi prima della morte, padre Domenico del SS. Sacramento, così si esprimeva in una lettera inviata ad un suo esimio confratello: “Alcuni, il Signore li vuole con sé nel fior degli anni, ad altri riserva grandi opere e perciò stesso grandi meriti. Quel che importa e attuare i disegni di Dio e che in tutto si compia la sua volontà”. Quando morì aveva solo 26 anni.
Domenico Iturrate Zubero era nato l’11 maggio 1901 nella borgata Biteriño di Dima (Vizcaya) vicino Bilbao in Spagna. I genitori Simone Iturrate e Maria Zubero erano ferventi cristiani e diedero a Domenico una salda educazione religiosa e morale.
Fece la Prima Comunione sui 10 anni, ma già da tre anni aveva l’abitudine di confessarsi ogni mese, secondo l’usanza del tempo, senza aspettare la Prima Comunione. Crebbe ubbidiente ai genitori,
frequentando la scuola del paese e aiutando nei lavori domestici e nei campi; interessato particolarmente al catechismo, ebbe dal parroco l’incarico d’insegnarlo ai più piccoli.
I suoi biografi sottolineano che aveva un carattere sensibile, ma con inclinazione all’ira, come i baschi della sua Regione. Divenne chierichetto nella sua parrocchia, partecipava alla Messa non solo nei festivi, ma anche durante i giorni feriali.
Avvertita dentro di sé la chiamata alla vita religiosa, trovò la madre consenziente, mentre il padre che aveva riposto su di lui le sue speranze, perché per tradizione, essendo il primogenito, era il suo appoggio ed erede della proprietà familiare.
Ma essendo Domenico fermo nella sua scelta, alla fine anche il padre acconsentì e dopo aver ricevuto la cresima il 26 agosto 1913; entrò nel Collegio-aspirantato dei Padri Trinitari di Algorta (Vizcaya), Cantabria, il 30 settembre 1914, per intraprendere gli appositi studi.
L’11 dicembre 1917 vestì l’abito dei Trinitari, iniziando il noviziato nel convento-santuario della “Virgen Bien Aparecida”.
L’Ordine dei Trinitari o della Santissima Trinità, fu fondato da San Giovanni di Matha (1160-1213) e da San Felice di Valois (1127-1212), a Cerfroid (Meaux), e approvato da papa Innocenzo III nel 1198, allo scopo di riscattare i cristiani fatti schiavi dai musulmani.
La loro benemerita opera diede la libertà a ca. 900.000 cristiani; ma l’Ordine dei Trinitari dopo aver raggiunto un grande splendore nel XV secolo, declinò poi rapidamente. Nel 1578 papa Gregorio XIII approvò la riforma attuata dal trinitario s. Giovanni Battista della Concezione († 1613), per riportare l’Ordine all’austerità primitiva e i trinitari si divisero così nelle due Famiglie degli ‘Scalzi’ (riformati) e dei ‘Calzati’.
Nel 1609 l’Ordine diventò mendicante, e dopo aver subito i colpi della Riforma Protestante e della Rivoluzione Francese, con molte soppressioni di Case e Conventi, prese a rifiorire lentamente solo sul finire del sec. XIX. Oggi è dedito all’apostolato fra i fedeli e alle missioni.
Il novizio Domenico del SS. Sacramento, questo il nome che aveva assunto, si impegnò con tutte le forze nella sua formazione spirituale; e da una sua confidenza, si seppe che nell’anno di noviziato e negli anni precedenti, aveva sofferto la cosiddetta “notte oscura dello spirito”, che l’aveva sprofondato nel dubbio sulla sua vocazione, portandogli aridità di spirito, mancanza di soddisfazione delle sue azioni, paure, amarezze ed angosce.
Ma con l’aiuto della Madonna alla quale si era affidato, quando il 14 dicembre 1918 fece la professione semplice, ritrovò la sua tranquillità interiore e la serenità dello spirito.
Dopo aver compiuto il primo anno di filosofia, nell’ottobre 1919 fu inviato a Roma, dove continuò gli studi filosofici alla Pontificia Università Gregoriana; conseguì la laurea in filosofia il 3 luglio 1922.
Il successivo 23 ottobre fece i suoi voti perpetui, nel convento romano di S. Carlo alle Quattro Fontane, dove era alloggiato. Continuò gli studi in teologia, laureandosi anche in questa scienza il 26 luglio 1926.
Nel frattempo era stato ordinato sacerdote nella Basilica dei Dodici Apostoli il 9 agosto 1925, celebrando la Prima Messa il 15 dello stesso mese. Nel Seminario aveva il compito di “assistente” del padre Maestro, per l’osservanza della disciplina.
Desideroso di essere un missionario in terre pagane, espose al Padre Provinciale l’idea di aprire una missione dell’Ordine in Africa o in America Latina, offrendosi personalmente per tale opera.. Ma i suoi superiori valutando le sue ottime qualità di formatore, nel Capitolo Generale del 1926, lo nominarono Maestro degli studenti trinitari.
Ai primi di giugno, però padre Domenico avvertì i primi sintomi della tubercolosi polmonare, così diffusa in quei tempi; fu mandato nella vicina Rocca di Papa, con la speranza che l’aria pura dei monti gli potesse giovare, ma il male purtroppo era già in uno stato troppo avanzato.
Dopo sette anni di permanenza a Roma, fu trasferito con urgenza ad Algorta in Spagna, dove arrivò il 6 settembre 1926, dopo essersi fermato prima a Lourdes per pregare la Madonna.
Dopo aver consultati vari medici, fu portato al convento di Belmonte (Cuenca); ormai aveva compreso che tutti i suoi progetti sacerdotali e di missionario, non si sarebbero più realizzati, ma accettò la volontà di Dio senza ribellione.
Morì l’8 aprile del 1927 nello stesso convento di Belmonte; il giovane sacerdote trinitario godé subito della fama di santità, basti pensare che per la Causa di beatificazione, furono presentati circa 2500 relazioni per guarigioni attribuite alla sua intercessione.
Nel 1974 i suoi resti furono traslati ad Algorta, dove riposano nella parrocchia del Redentore dei religiosi Trinitari. Padre Domenico del SS. Sacramento Iturrate, è stato beatificato il 30 ottobre 1983 da papa Giovanni Paolo II. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Che avesse una certa inclinazione per la vita religiosa, sua mamma lo aveva notato fin dai primi anni, e ne era pure contenta.
Lo aveva educato nella fede, gli aveva inculcato la devozione alla Madonna, lo aveva abituato a confessarsi ogni mese, lo aveva spinto a diventare prima chierichetto e poi catechista dei bambini più piccoli.
Non si stupisce, quindi, se a 10 anni le confida di volersi fare religioso ed è felice quando 4 anni dopo entra nel Collegio dei Trinitari.
Non così papà, facoltoso agricoltore della Biscaglia, che vede in lui, primogenito dei suoi undici figli, il suo appoggio e l’erede della proprietà di famiglia e che perciò lo lascia partire a malincuore.
A 16 anni veste l’abito religioso e un anno dopo fa la prima professione dei voti, che si propone di rinnovare ogni giorno perché “i tre voti, più che una rinuncia, suppongono una risposta, una donazione a Dio, amato sopra ogni cosa”. Nessuno sa che gli anni del noviziato sono stati contrassegnati da “una notte dello spirito” che lo ha sprofondato nel dubbio e gli ha portato amarezze, confusione, aridità spirituale.
La serenità è tornata come per incanto solo il giorno della professione, perché lui è rimasto attaccato alla Madonna come un’ostrica allo scoglio, si è aggrappato alla preghiera e non ha mai perso la fiducia nella bontà di Dio. Dalla Spagna lo mandano a Roma per studiare e si laurea alla Gregoriana prima in Filosofia e poi in Teologia.
Come assistente dei chierici non è accettato da tutti, perché lo stile di vita che propone e l’esempio che offre è esigente e punta alla perfezione, ma egli sa che non lo hanno fatto “prefetto per piacere ai religiosi, bensì per portarli a Dio”.
In effetti, prima di tutto è esigente con se stesso: ha fatto voto di “compiere sempre quello che avrebbe riconosciuto più perfetto” e, secondo la spiritualità di San Luigi Grignion de Monfort, si è donato completamente a Gesù per le mani di Maria.
I suoi confratelli notano come “lo straordinario in lui era la costanza e la fermezza nel compiere fedelmente il suo dovere, ogni giorno”. Nell’agosto 1925 viene ordinato sacerdote, ma neppure nove mesi dopo avverte i primi sintomi della tubercolosi polmonare.
La reazione a questo verdetto è un momento di tristezza “perché mi ero preparato accuratamente per propagare nel mondo la devozione alla SS. Trinità” , ma subito prevale in lui l’abbandono nelle mani di Dio in cui sempre si è allenato. Come un bambino nelle mani di Dio, cercando di “santificare il momento presente”, affronta le cure e le sofferenze con la serenità di chi sa “vedere in tutte le cose la mano di Dio”.
Lo fanno rientrare in Spagna e muore nel convento di Belmonte il 7 aprile 1927, a 26 anni non ancora compiuti. “ Alcuni Dio li coglie nella verde età, ad altri chiede molto e lungo apostolato. Tutto è grazia, tutto è guadagno”, aveva scritto. Giovanni Paolo II°, riconoscendo che “esiste la santità vistosa e appariscente di alcune persone, ma esiste anche la santità nascosta della vita di tutti i giorni”, il 30 ottobre 1983 proclama beato il padre Domenico (Iturrate Zubero) del SS. Sacramento, il giovane religioso che aveva raggiunto la santità semplicemente facendo “le cose comuni in maniera non comune”.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Domenico del SS. Sacramento, pregate per noi.

*Santi Erodione, Asincrito e Flegone - Discepoli di San Paolo (8 Aprile)

I secolo
I Santi Erodione, Asìncrito e Flegone sono menzionati dall’apostolo Paolo nella lettera ai Romani, meritandosi così la venerazione quali santi da parte delle Chiese d’Oriente e d’Occidente nonostante la scarsità di notizie sul loro operato.
Solo relativamente ad Erodione è disponibile l’iconografia del singolo, mentre gli altri sono
identificabili in un’icona raffigurante più personaggi.
Martirologio Romano: Commemorazione dei Santi Erodione, Asíncrito e Flégone, che San Paolo Apostolo saluta nella Lettera ai Romani. Il Cardinal Baronio, nel redigere il Martirologium Romanum, identificò i santi Erodione, Asìncrito e Flegone con i cristiani salutati da San Paolo nella Lettera ai Romani (Rom 16, 11, 14). Erodione sarebbe stato originario di Tarso e parente dell’Apostolo delle genti, che avrebbe accompagnato a Roma nella seconda prigionia.
Ordinato presbitero, fu quindi inviato quale vescovo a Patrasso in Grecia: qui operò numerose conversioni, scatenando l’ira dei giudei che lo vollero uccidere. Talvolta Erodione è invece citato quale vescovo di Tarso. Nulla sappiamo invece di Asìncrito e Flegone, relativamente ai quali la tradizione cristiana ha sempre taciuto. La Chiesa greca pone questi tre Santi tra i 72 discepoli di Gesù e dedicalo loro un Ufficio proprio all’8 aprile insieme anche a Rufo ed Agabo.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Giulia Billiart - Vergine, Fondatrice (8 Aprile)
Cuvilly (Dipartimento Oise, Francia), 12 luglio 1751 - Namur (Belgio), 8 aprile 1816

Nacque il 12 luglio 1751 da una famiglia agiata a Cuvilly (Francia), sedici anni dopo, la miseria colpì la famiglia e Giulia fu costretta a lavorare.
A 22 anni, fu colpita dalla paralisi alle gambe e, sotto la guida del suo parroco, si dedicò alle pratiche di pietà e al catechismo dei bambini. Costretta alla fuga, durante la Rivoluzione Francese, perché accusata di nascondere dei sacerdoti, si diresse ad Amiens, dove incontrò padre Varin, superiore dei Padri della Fede, il quale la convinse a fondare un'organizzazione per l'educazione cristiana delle fanciulle. Cominciò nel 1803 la vita in comune con alcune compagne, pronunciando i voti nel 1804, anno in cui avvenne la miracolosa guarigione delle sue gambe.
Superiora nel 1805, allargò la sua opera fondando scuole dappertutto in Francia e Belgio, nel 1809 a causa di false calunnie fu costretta a lasciare la sua Casa, ma tutta la Comunità la seguì a Namur in Belgio. Nel frattempo cambiarono il nome in «Suore di Nostra Signora di Namur». E anche in Belgio seppe diffondere le sue fondazioni.
Fervente devota al Sacro Cuore ebbe anche il dono di estasi e miracoli, morì a Namur l'8 aprile 1816. (Avvenire)

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Namur lungo la Mosa nel Brabante, nell’odierno Belgio, santa Giulia Billiart, vergine, che fondò l’Istituto di Santa Maria per la formazione della gioventù femminile e propagò con zelo la devozione verso il Sacratissimo Cuore di Gesù.
Leggere la vita di santa Giulia, sembra di leggere la vita di altre sante o Beate fondatrici anch’esse di Congregazioni religiose, tanto gli episodi salienti sono quasi uguali.
Nacque il 12 luglio 1751 da una famiglia agiata a Cuvilly (Francia), sedici anni dopo, la miseria colpì la famiglia e quindi Giulia fu costretta a lavorare anche con lavori manuali pesanti.
A ventidue anni, fu colpita dalla paralisi alle gambe, pur in quelle condizioni, sotto la guida del suo parroco, si dedicò alle pratiche di pietà e all’insegnamento del catechismo ai bambini. Costretta alla fuga, durante la Rivoluzione Francese, perché accusata di nascondere dei
sacerdoti restii alle nuove norme civili, si diresse ad Amiens, dove incontrò padre Varin, superiore dei Padri della Fede, il quale la convinse a fondare un’organizzazione dedita all’educazione cristiana delle fanciulle.
Cominciò nel 1803 la vita in comune con alcune compagne, pronunciando i voti nel 1804, anno in cui avvenne la miracolosa guarigione delle sue gambe. Superiora nel 1805, allargò la sua opera fondando scuole dappertutto in Francia e Belgio, nel 1809 il vescovo di Amiens, dando credito a voci calunniose su di lei, ordinò che lasciasse la sua Casa, ma tutta la Comunità la seguì e si istallarono a Namur in Belgio, sotto la protezione del locale vescovo; nel frattempo cambiarono il nome in "Suore di Nostra Signora di Namur".
Pur essendo d’istruzione limitata, seppe diffondere le sue fondazioni in Belgio, formando anche schiere di maestre.
Fervente devota al Sacro Cuore ebbe anche il dono di estasi e miracoli, morì a Namur l’8 aprile 1816. Beatificata da San Pio X
il 13 maggio 1906 e dopo il riconoscimento di due miracoli avvenuti uno in Belgio e l’altro in Brasile è stata canonizzata il 22 giugno 1969 da Papa Paolo VI.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Giuliano di Sant’Agostino - Francescano (8 Aprile)

Medinaceli, Spagna, 1550 circa – Alcalà, Spagna, 8 aprile 1606
Martirologio Romano:
Ad Alcalá de Henares in Spagna, Beato Giuliano di Sant’Agostino, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Scalzi, che, ritenuto folle per il suo mirabile spirito di penitenza e più volte allontanato dalla vita religiosa, predicò Cristo più con l’esempio della sua virtù che con le parole.
Giuliano di Sant’Agostino, umile fratello laico francescano, famoso per 1e sue straordinarie penitenze ed i suoi doni mistici, nacque verso il 1550 presso Medinaceli nella Vecchia Castiglia in Spagna, primogenito di Andrea Martinet, conciatore di pelli, esule francese fuggito dalla patria in seguito alle guerre di religione scatenate dai calvinisti.
Sotto la preziosa guida dei genitori Giuliano crebbe modesto, riservato ed ubbidiente. Invece di giocare con i coetanei, egli era più gioioso nel fare il chierichetto in chiesa. Da quando fu mandato a fare apprendistato da un sarto, continuò comunque ad approfittare dei momenti liberi per partecipare alla Messa e ricevere la Comunione, noncurante dei sarcasmi dei colleghi.
Giuliano sentiva comunque crescere sempre maggiormente in sé l’attrattiva per la vita religiosa e, consigliato dal suo confessore, decise nonostante la sua giovane età di diventare francescano scalzo nel convento di Nostra Signora di Salceda, che seguiva le regole dell’antica osservanza. Animato da un innato fervore, si cimentò subito in forti penitenze, tanto che i superiori le considerarono frutto di una mente esaltata.
Rimase infine desolato quando fu da essi invitato a tornare nel mondo e si ritirò a Santorcaz, presso Toledo, dove intraprese l’attività di sarto, senza però abbandonare la sua religiosità.
Non molto tempo dopo giunse nel paese Padre Francesco de Torres, celebre predicatore, che notò subito la presenza di Giuliano, per l’attenzione che prestava ai suoi sermoni, la devozione con cui serviva la Messa e il fervore con cui faceva la comunione. Gli propose allora di accompagnarlo nelle sue peregrinazioni apostoliche ed il giovanotto, che non attendeva altro, indossò subito un povero abito da pellegrino e si incamminò con lui per le strade della Spagna.
Nelle città in cui giungevano, prima preoccupazione di Giuliano era invitare i fedeli alla predica del missionario con il suono di un campanello. Un giorno transitarono anche per Medinaceli ed i suoi compaesani nel vederlo gli diedero del pazzo, ma egli con un modesto sorriso ribatté: “Voi dite la verità. Io sono proprio pazzo, ma per amore di Dio”.
Padre de Torres, sempre a contatto con il suo aiutante, ebbe modo di conoscerne la pietà ed il candore, nonché il suo desiderio di servire Dio nel ritiro e nella penitenza. Ritenne dunque opportuno farlo ammettere al noviziato del convento di Nostra Signora di Salceda, ma i francescani ancora una volta lo ritenettero un esaltato dopo che, con rinnovato ardore, riprese a digiunare e a praticare
penitenze non comuni. Con rinnovato coraggio Giuliano sopportò anche questa nuova prova e senza lamentarsi si limitò a replicare: “Ritengo che la mia vocazione sia quella di essere religioso, con o senza l’abito”.
Sentendosi divinamente ispirato a non interrompere le sue pratiche ascetiche, si ritirò su un vicino monte, dal quale scendeva per catechizzare i poveri e ricevere con loro pane e minestra alla porta del convento. Un giorno, spogliatosi del proprio abito per rivestire un ignudo, i francescani gliene regalarono allora uno simile a quello dei fratelli oblati e Giuliano li ricompensò di tanta generosità andando per le campagne a fare la questua per loro. I frati finalmente giunsero a vedere in lui un uomo che viveva secondo lo spirito di Dio e gli riaprirono le porte del noviziato. Dopo un’anno di prova, fu ammesso alla solenne professione dei voti religiosi in qualità di fratello laico con il nome di Fra’Giuliano di Sant’Agostino. Riconoscente a Dio della grazia ricevuta, il novello frate profuse maggiori energie nella propria santificazione, proponendosi di ubbidire sempre a tutti, escogitando nuove mortificazioni ed intensificando la sua preghiera.
Assai presto i superiori confermarono a Fra’Giuliano il ruolo di accompagnatore di Padre Francesco de Torres. La vita esemplare dell’umile fraticello fu sovente più eloquente ed efficace delle prediche del missionario. In seguito Fra’Giuliano fu mandato quale questuante presso il convento di Nostra Signora della Speranza di Ocana, ma poi fece ritorno al convento di Alcalà, ove trascorse il resto della sua vita, dedito alle necessità dei malati e dei poveri.
Nel corso della sua vita religiosa Fra’Giuliano si distinse particolarmente per la rigorosa osservanza della regola e la pratica di ogni virtù, ma innanzitutto per lo spirito di orazione: ovunque si trosse, infatti, era solito pregare, rivolgendosi a Dio con tale ardore da essere talvolta costretto a spogliarsi del suo abito in pieno inverno per potersi refrigerare. Ripetutamente fu visto dai confratelli essere in estasi e sollevato da terra. Amava trascorrere sovente la notte in chiesa prostrato in adorazione. Non è umanamente comprensibile come Fra’Giuliano abbia potuto al tempo stesso coniugare la vita da fraticello alla pratica di cotante dure penitenze. Sull’esempio di San Francesco d’Assisi non si accontentò mai di osservare la più rigida povertà evangelica, ma sul suo esempio prese a praticare nel corso dell’anno le sette quaresime.
Solito flagellarsi con catenelle di ferro armate di punte aguzze, per ben ventiquattro anni con il permesso del confessore si cinse i fianchi con una catena di ferro assai pesante. Era però molto avveduto nel non ostentare le proprie austerità onde evitare la stima degli uomini. Perciò, se capitava durante la questua che qualche monello gli tirasse sassi o lo canzonasse, egli in cuor suo ne era felice, considerandosi l’uomo più vile e miserabile della terra, degno addirittura dell’inferno.
Fra’ Giuliano respinse più volte le avances del demonio e Dio non tardò a ricompensare il suo servo fedele con doni soprannaturali, tra i quali la profezia e la scienza infusa. I dottori della famosa università di Alcalà, al corrente di ciò, lo consultarono su difficili questioni e sempre furono meravigliati delle sue sapienti risposte. Persino la regina Margherita, consorte di Filippo II di Spagna, desiderò raccomandarsi alle sue preghiere, tanto era grande la fama dei miracoli che Dio operava per sua intercessione. Dio concesse inoltre a Fra’Giuliano anche poteri sugli animali e sugli elementi naturali.
Un giorno incontrò per strada alcune giovani coppie che si davano a pazzi balli e li invitò a seguirlo in una chiesa al fine di spiegare loro come impiegare al meglio il tempo libero, ma essi non gli diedero ascolto. Si rivolse allora agli uccelli, che ad un suo cenno si raccolsero in cerchio attorno a lui. A casa di un benefattore, a Torrejón, il frate ridiede la vita ad alcuni uccellini che, contro la sua volontà, erano stati uccisi e messi allo spiedo.
A Retortilla imbattutosi in un pastore, che teneva tra le braccia un agnellino di due mesi ucciso con una sassata, mosso da compassione gli si avvicinò esclamando: “Agnellino, Dio venga in tuo aiuto!”. All’istante la povera bestiola tornò in vita e corse in cerca della madre. Ospite di un benefattore ad Argenda, quando vide che la moglie stava per infornare il pane gli venne in mente di darle la sua tonaca, perché la mettesse nel forno prima del pane perché fosse pulita dalle macchie. Alquanto sbalordita, la donna gli fece notare che, a causa del forte calore, la tonaca sarebbe stata ridotta in cenere, ma Fra’Giuliano la tranquillizzò e la tonaca miracolosamente ne uscì splendente.
Durante la sua ultima questua fu assalito da una febbre molto violenta, ma nonostante ciò volle fare ritorno ritorno a piedi sino al convento di San Diego: due giovani lo accompagnarono, tenendo per le estremità un lungo bastone al quale il malato poté così appoggiarsi lungo la strada. Fra’Giuliano morì 1’8 aprile 1606 ed il suo corpo rimase esposto per diciotto giorni alla venerazione dei fedeli: anziché corrompersi, si conservò flessibile emanando un soave profumo. Fu seppellito in una cappella che la pietà popolare non esitò a denominare subito di “San Giuliano”.
Il pontefice Leone XII iscrisse nell’albo dei Beati il 6 maggio 1825, per i numerosi miracoli avvenuti per sua intercessione.
In seguito alla soppressione degli ordini religiosi in Spagna, avvenuta nel 1835, le reliquie del novello beato furono allora traslate nella chiesa dei Padri Gesuiti, detta “la magistrale di Alcalà”, presso cui ancora oggi sono oggetto di venerazione da parte dei fedeli spagnoli.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuliano di Sant’Agostino, pregate per noi.

*San Gonzalo Mercador - Vescovo e martire, Mercedario (8 Aprile)
XV secolo
Illustre vescovo Mercedario di Granada, San Gonzalo Mercador, ritornando dal concilio di Firenze avvenuto nell’anno 1450, fu catturato dai nemici della religione cattolica.
Rinchiuso per lungo tempo in un tetro carcere, ardeva in lui il desiderio di diventare martire finché per comando di un empio re fu percosso e dopo molti tormenti fu decapitato per il nome di Cristo, ricevendo così la gloria eterna.
L’Ordine lo festeggia l’8 aprile.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gonzalo Mercador, pregate per noi.

*Santi Isacco e Hamazasp - Martiri in Armenia (8 Aprile)

Etimologia: Isacco = Dio gli sorride, salvezza di Dio, dall'ebraico
Emblema: Palma
Isacco e Hamazasp erano fratelli figli del principe Gagik Arcruni e subirono il martirio durante il catolicossato di Isaia (775-788).
In quel tempo l'Armenia era soggetta alla dominazione araba, ma i due principi erano valorosi combattenti e mantenevano nella propria regione l'ordine e la pace. L'agiografo loda specialmente la loro pietà e religiosità.
L'anno 785 saliva sul trono del regno arabo Musa-ibn-Mahdı, "uomo crudele e malvagio" come lo definisce lo storiografo armeno, Leonzio.
Infatti, appena salito al trono, mandò in Armenia un governatore di sua fiducia, il quale, giunto nella capitale, Dwin, convocò tutti i principi armeni.
Anche i due fratelli Isacco e Hamazasp, insieme al loro terzo fratello Meruzan, accettarono l'invito e vi andarono, "poiché, dice l'agiografo, avevano il cuore schietto e non dubitavano di niente".
Ma appena arrivati a Dwin, il governatore arabo li tenne prigionieri, accusandoli di ribellione contro i dominatori.
I due fratelli erano considerati fra i più valorosi di tutti i principi armeni e ciò insospettì il governatore il quale temeva che essi potessero opporsi ai suoi malvagi progetti.
Rimasti per tre mesi in carcere, si sentirono proporre di rinnegare la fede cristiana, come condizione per essere lasciati liberi.
Uno dei fratelli, Meruzan, accettò la condizione, e fu liberato, ma gli altri due perseverarono nelle tribolazioni senza cambiare avviso. Il governatore cercò di smuoverli con le torture, ma anche questo mezzo fu vano.
Infine furono decapitati, l'anno 786, in un giorno dell'ottavario dell'Epifania. La Chiesa armena li onora con una festa nella settimana della III domenica dopo la festa dell'Esaltazione della S. Croce. Il Martirologio armeno riporta la Vita dei Santi martiri l'8 aprile.

(Autore: Paolo Ananian – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Isacco e Hamazasp, pregate per noi.

*Beata Libania di Busano - Badessa (8 Aprile)
+ Busano, Torino, 8 aprile 1064
Nacque a Barbania da Armerico (o Ermerico), signore di Barbania, Corio, Busano, Rocca e Rivara, e discendente degli antichi duchi longobardi.
Emerico rese con signora di Rivara la figlia Libania, ma questa a 15 anni rifiutò le nozze e fuggì a San Benigno di Fruttuaria, dove ricevette l’abito benedettino dalle mani di San Guglielmo, fondatore dell’abbazia.
Suo padre fondò per lei e le sue compagne il monastero di Busano, dedicato a san Tommaso e dipendente dall’abbazia di Fruttuaria. Libania ne divenne la badessa.
Il monastero ebbe tra i suoi ospiti illustri Agnese, madre dell’imperatore Enrico IV.
Si racconta che essendo prossima la sua fine, un angelo venisse alla cella e la conducesse in chiesa, dove “l’anima se ne distaccò dal corpo per puro amore”.
Quando morì, l’8 aprile 1064, venne sotterrata in un posto segreto dentro la chiesa di San Tommaso per evitarne la deturpazione a scopo di trarne reliquie.
Nel chiostro, nei pressi della chiesa, si pose la scritta: “Accogli, o terra, le ceneri della benigna vergine badessa Libania, ornamento della fede, tributo di lode, figlia di Emerico”.
Del monastero di Busano restano oggi scarse vestigia, occupate dal Municipio.

(Fonte: www.villaschiari.it)
Giaculatoria - Beata Libania di Busano, pregate per noi.

*Beato Martino da Pegli (o da Genova) - Benedettino - (8 Aprile)
Note storiche

Il Beato Martino Ansa - o Beato Martino da Pegli, dal luogo della sua penitenza santificatrice - nacque a Rimini (secondo alcuni storici nacque invece nella Marca di Ancona).
L'anno della sua nascita è incerto.
Fu uomo brillante d'armi e, in un momento d'ira uccise con la spada un cavaliere suo amico.
Fuggì allora disperato e vagò per le campagne sino a che giunse a Genova.
Fu accolto nel Convento benedettino di Capo Faro ove si distinse per la sua grande umiltà e carità.
Poi, per espiare maggiormente la sua colpa, divenne eremita ed alloggiò nella grotta di massi di roccia della Baia di Castelluccio in Pegli.
Fu celebre per la carità usata soprattutto verso i viandanti.
Morì in Genova, il giovedì dopo Pasqua dell'anno 1344, nel Convento benedettino che lo aveva accolto penitente.
Per la carità e l'abilità dimostrata nell'aggiustare gli abiti dei pellegrini che accoglieva nella sua grotta, fu nominato Patrono dei Sarti Liguri.
Attualmente le sue Reliquie sono venerate nella Chiesa Parrocchiale di Sant'Antonio Abate in Pegli, che sorge proprio sopra la grotta che aveva abitato durante la sua vita eremitica.
Il giovedì dopo Pasqua si celebra una festa popolare, mentre nel Calendario genovese del cardinale Durazzo (1640) la sua memoria liturgica ricorre l’8 aprile. Si ritiene che sia la data (8 aprile 1344) della prima traslazione delle spoglie nella chiesa di San Benigno.

La  sua vita (in versi)
"Sosta, fratello, sei stanco!
Fà ch'io ti disseti, ch'io ti lavi i tuoi piedi, e le tue vesti riassetti...."
Con quest'invito pietoso, Martino, il Beato di Pegli, i viandanti affranti accoglieva e i pellegrini che a piedi, dalla terra di Spagna o di Francia, lungo l'Aurelia a Roma andavano o a Loreto...
E il torrente Laviosa a Lui era amico per il soccorso cristiano,
e l'umile sua grotta piena era di erbe e di frutti per donare all'affranto fratello. Nulla teneva per sé se non il cilicio e gli avanzi degli altri.
Tanto aveva peccato, contro la vita, nello spegnere una vita, sulle rive dell'Adriatico mare, che più nulla in sé stimava, più nulla in sé amava, che penitenza non fosse.
A Pegli giunse, e nella baia del forte di Castelluccio una piccola conca trovò tra due rocce marine.
In essa sostò per pregare in ginocchio, in continuazione ritmica col flusso del mare.
Quant'anni rimase così in penitenza dura, in preghiera ardente?
Fermo come gli scogli, pregando, espiando,  chiedendo perdono e pietà.
Quanti fratelli accolse medicando ferite di anima e di corpo?
Quanti vestiti laceri rattoppò, ricucì e lavò?
Anche naufraghi di mare in Martino trovarono salvezza.
E il giorno venne che in luce d'amore, Gesù l'avvertì dell'imminente trapasso.
Martino raccolse gli strumenti di sua espiazione  E di sua preghiera, poi, sorridendo, a piedi guardando le cose con occhi nuovi, a Genova andò, per ricevere dal suo superiore, licenza ed estrema assoluzione. Quindi si spense sereno: ed una bianca tortora gli si posò sul cuore. Passarono gli anni, passarono i secoli E il ricordo del peccatore penitente, divenuto Santo,  si affievolì alquanto, ma per ineffabile, divina permissione, sul luogo del suo martirio, sorsero un ospedale e una chiesa: sofferenza e preghiera, preghiera e sofferenza, i cardini sicuri, che salvarono Martino, che salvano il mondo.

(Autore: Ermelinda Vannini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Preghiera al Beato Martino
O glorioso e Beato Martino, che durante la vostra vita dedicata alla carità, e più ancora dopo il vostro sereno transito, otteneste ai vostri devoti grazie innumerevoli e operaste guarigioni di ogni sorta, rivolgete benevolo il vostro sguardo sopra tutti coloro che si affidano con tutto il loro cuore al vostro patrocinio per ottenere la salute dell'anima e del corpo.
O Martire di carità, fate che ricorrendo fiduciosi alla vostra valida protezione non abbiamo a restare delusi nelle nostre speranze, ma veniamo da Dio sollevati nei bisogni che rendono tribolata la nostra vita.

(Autore: Padre Claudio Traverso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Martino da Pegli, pregate per noi.

*Santi Timoteo, Diogene, Macario e Massimo - Martiri (8 Aprile)
Martirologio Romano:
Ad Antiochia di Siria, oggi in Turchia, Santi Timoteo, Diogene, Macario e Massimo, martiri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Timoteo, Diogene, Macario e Massimo, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (08 Aprile)
*San Redento - Vescovo

*San Gualtiero - Abate

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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